Il Diritto all’Oblio su Internet

A cura dell’Avv. Giovanni Del Re

 

E’ divenuta abitudine dei nostri tempi quella di conoscere una persona per ragioni di lavoro, ma anche per rapporti sociali, e poi, anzi subito, andare sulla Rete per leggere chi è, cosa ha fatto, nel bene, quasi mai riportato, e nel male, quasi sempre presente.

Il male è assai spesso rappresentato da problemi giudiziari, riportati con dovizia di particolari e persistenti nella loro posizione in prima pagina. Molto meno sovente appaiono, soprattutto nella prima pagina, le notizie che porrebbero nel nulla quei titoli: sentenza di proscioglimento, assoluzioni in istruttoria, sentenza di calunnia, etc.

Ma la Rete, a distanza di anni, anche di decenni, è capace di riportare in vita storie, che il soggetto vorrebbe dimenticare o che ha in effetti dimenticato e che comunque vorrebbe far dimenticare a tutti gli altri, magari cambiando città o nazione. 

Ma è tutto inutile. Basta una sera andare ad una cena e presentarsi: sono il signor X, e se per tua sfortuna non ti chiami Rossi o Bianchi o anche Conte o non hai omonimi talmente famosi da impegnare pagine e pagine in Rete, ci sarà qualcuno che verrà a conoscenza di una tua disavventura giudiziaria di anni e anni prima dalla quale, peraltro, ne sarai anche uscito per non aver commesso il fatto. Ma per il vecchio proverbio “non c’è fumo senza fuoco” e per il compiacimento di divulgare una notizia prima sconosciuta, sarai di nuovo nella stessa situazione sociale, relazionale, emotiva, di dieci anni prima, con in più la pesante accusa, da parte di chi è oggi ti è vicino, di non averglielo detto. 

Ovviamente non è tutto qui. Il problema esiste anche se qualcuno digita terrorismo ed ho subito una indagine in tale contesto o altri dati aggreganti. 

Ritengo invece che abbiamo il diritto all’oblio per le nostre azioni che, anche se sbagliate, ci hanno consentito di rimediare o di pagare, ed anche per quelle situazioni in cui ci siamo trovati coinvolti senza colpa e da cui ne siamo usciti, magari a pezzi ed a fatica, ma con un riconoscimento di estraneità.

Non possiamo subire processi senza fine, non possiamo sentirci imputati a vita, non possiamo sempre doverci difendere, dover essere costretti a spiegare, a dover andare in giro con la copia della nostra sentenza di assoluzione nella valigia.

Quando si parla di diritto all’oblio nella Rete ci si riferisce in termini di permanenza di informazioni riguardanti gli utenti. Le definizioni di questo diritto sono varie: c’è chi lo definisce semplicisticamente “diritto ad essere dimenticati”, chi lo interpreta come una peculiare espressione del diritto alla riservatezza, chi come diritto a non essere facilmente trovati o non essere facilmente visti, chi ancora lo declina come diritto all’identità personale e quindi come diritto a vedersi rappresentati in modo da riflettere la propria attuale dimensione personale e sociale.

Un garante della protezione dei dati personali ebbe ad affermare che << Il diritto all’oblio è la garanzia di libertà dallo stigma della memoria eterna della Rete: memoria sociale selettiva, legata alla funzione pubblica della notizia e al rispetto dell’identità personale poiché l’identità digitale di ciascuno di noi non è meno personale di quella reale e diritti devono godere della stessa tutela on-line ed off-line >>.

In genere si presentano 3 problemi: 1) completamento automatico del nome 2) il problema della stringa, la così detta indicizzazione (i primi titoli che compaiono nella pagina) 3) il link (il rimando da un link ad un altro).

La domanda è: come intervenire su questi problemi? Il primo ostacolo al diritto all’oblio è rappresentato dal diritto di cronaca secondo il quale l’archivio di ogni giornale è sacro, nessuno potrà mai ordinare la cancellazione dalla me-moria di un fatto di cronaca. 

Quindi l’archivio storico di un giornale in cui viene cercata la notizia deve necessariamente presentare tale notizia.

Un altro ostacolo, visto sotto l’aspetto deontologico della notizia, è costituito dall’evocazione per richiamo di casi simili; è il caso in cui si venga accusati di una determinata azione e si faccia riferimento ad azioni commesse da altre persone nel passato, simili a quella di cui si è accusati. 

Ed ancora, lasciare la notizia incompleta: per il giornalista è purtroppo più soddisfacente trattare una notizia nuova, piuttosto che tornare sulla precedente. Tuttavia, se il soggetto accusato fosse stato assolto dopo la pubblicazione della notizia perché il fatto non sussiste, questo avrebbe diritto a che la notizia rettificata fosse agganciata alla precedente, in modo tale che il web nel cercare il soggetto e le relative informazioni possa trovare entrambe le notizie. Quindi si parla di agganciare la notizia successiva, cosa possibile assai spesso solo se si obbliga la cronaca a farlo.

Quando si parla di oblio si fa riferimento a una notizia sfavorevole che soffre del principio di aggregazione; si può entrare in un contesto indiretto in cui le informazioni riguardanti un individuo possono emergere non solo digitando il nome di quest’ultimo, ma anche nel caso in cui si digiti altro e, dunque, la ricerca non sia finalizzata alla raccolta di informazioni sul suddetto soggetto. Il principio è esatto; quando si effettuano ricerche su internet si vuole raccogliere il maggior numero di informazioni riguardanti l’oggetto della ricerca, quindi possiamo affermare che l’aggregazione è l’elemento caratterizzante di internet.

L’oblio si potrebbe inquadrare come il diritto a non restare indeterminatamente esposti ai danni ulteriori che la rete può arrecare all’onore e alla reputazione.

E’ interessante notare come l’oblio sia un problema sociale al contrario. Un tempo l’oblio costituiva una pena (la c.d. damnatio memoriae) e tutti i grandi personaggi del passato tentavano in qualche modo di lasciare un’orma, un segno, per poter essere ricordati; oggi la pena è l’attualizzazione perpetua del passato, resa normale dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. 

Ma la Corte di Strasburgo ricorda che gli archivi web dei giornali sono protetti dall’art. 10 della Convenzione europea del 1950 per conservarne la memoria storica. Rimuovere un articolo da un archivio storico sarebbe una censura, anche se l’articolo fosse stato falso o diffamatorio; in tal caso è sufficiente inserire una nota che informa il pubblico della pronuncia dei giudici che hanno accertato il carattere diffamatorio di quell’articolo.

L’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea aveva esonerato i motori di ricerca dall’obbligo di rispettare il diritto all’oblio e di cancellare i dati personali pubblicati su altri siti. 

Secondo l’avvocato generale <<i fornitori di servizi di motore di ricerca non sono responsabili del fatto che nelle pagine web che essi trattano compaiano dati personali, poiché fornire uno strumento per la localizzazione dell’informazione non implica alcun controllo sui contenuti presenti sulle pagine web di terzi>>. 

Questo evidenzia una forte impostazione di deresponsabilizzazione del motore di ricerca che tuttavia è stata completamente ribaltata con la sentenza C-131/12 della Corte di giustizia dell’Unione europea del 2014, che ha riconosciuto tale diritto all’oblio a Mario Gonzales, avvocato spagnolo, obbligando i motori di ricerca a rimuovere alcune informazioni su di lui. Nel 1998 Gonzales aveva subito un rovescio finanziario e la sua proprietà fu messa all’asta. La notizia finì sui giornali e in particolare venne pubblicato un articolo in cui si riportava la vendita all’asta di un appartamento di Gonzales a seguito di un pignoramento effettuato in seguito alla riscossione coattiva di crediti previdenziali. Ma il debito per cui l’asta si era resa necessaria era stato successivamente appianato. Nonostante ciò, quell’articolo continuava ad essere indicizzato in bell’evidenza nei motori di ricerca, pur contenendo una notizia superata dagli eventi. Gonzales si è sentito intrappolato nel suo passato digitale e leso dalla permanenza in rete di quell’articolo, che gli dava dell’insolvente. Nel 2009 si è rivolto all’agenzia spagnola di protezione dati (Aedp), il Garante della privacy iberico, che ha raccolto l’istanza e ha ritenuto che sussistessero fondate ragioni per intervenire contro Google. La Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella sentenza, ha riconosciuto il diritto del ricorrente alla rimozione di quel link dai motori di ricerca. Subito dopo la sentenza, Google è stata subissata di richieste di rimozione dei link e sta gradualmente ottemperando a quest’obbligo sulla base di valutazioni specifiche, caso per caso.

I punti cruciali di tale svolta giurisprudenziale sono:

-Il riconoscimento del diritto all’oblio si traduce nel diritto alla rimozione dei link e non delle informazioni di base contenute nei siti-sorgente. L’azione di Google è unilaterale: i siti-sorgente che subiscono l’oblio non possono obiettare in alcun modo.

-La domanda di rimozione dei link va inoltrata al motore di ricerca, compilando il modulo pubblicato on-line da Google. Il modulo predisposto da Google è un mezzo privato di autodisciplina finalizzato ad attuare la sentenza Google Spain e a prevenire azioni giudiziarie da parte di terzi.

-Il diritto all’oblio non vale per qualsiasi informazione ci riguardi ma solo per i contenuti inadeguati, irrilevanti, non più rilevanti o eccessivi in relazione agli scopi per cui sono stati pubblicati. Si legge nella sentenza che il riconoscimento della rimozione del link non scatterebbe qualora risultasse che il soggetto in questione ricopriva un ruolo pubblico; l’informazione va dunque rimossa solo se l’impatto sulla privacy dell’individuo prevale sul diritto del pubblico di sapere. Google precisa sul suo sito che ritiene informazioni di interesse pubblico le frodi finanziarie, la negligenza professionale, le condanne penali o la condotta pubblica di funzionari statali. Quindi, il diritto all’oblio non può trasformarsi nel diritto dei potenti di cancellare il proprio scomodo passato; non è possibile sartorializzare la propria identità digitale.

-Trattandosi di sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, l’eventuale rimozione del link riguarda solo l’Europa. Google sopprime il risultato della ricerca da tutte le proprie edizioni nazionali, ma solo per le ricerche lanciate dal Paese di nazionalità del richiedente la cancellazione del link. Chi interrogherà invece il motore di ricerca da un Paese diverso, continuerà a leggere la notizia in versione integrale. 

Ci si è chiesti per quale motivo il delisting non avvenga su tutti i paesi dell’Unione europea; probabilmente se il soggetto richiedente la cancellazione del link arrivasse ad ottenere una sentenza questa avrebbe effetto su tutti i paesi dell’unione. Tuttavia i motori di ricerca seguono una politica di auto-disciplina e, come autoregolamentazione, si elimina il link solo nel paese di riferimento.

C’è quindi molto lavoro da fare al riguardo a tutela dei soggetti coinvolti che possono e devono trovare la forza di reagire per far valere il diritto all’oblio su episodi della propria vita.

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