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Antonelli: l’intermediario sportivo è la figura del futuro.

Intercettare il punto di mezzo tra gli interessi del Club che acquista, di quello che vende e del calciatore.

Stefano Antonelli, da manager di grandi calciatori come Fabio Grosso, per 
citare l’eroe del Mondiale 2006, a direttore sportivo di club importanti,
dal Torino, al Siena, all’Udinese al Bari. Sempre nel calcio per
vent’anni, ora nel ruolo di consulente e intermediario. I perché di questo
 percorso.

«Ho iniziato sui campi di calcio di Roma e d’Italia, poi nel mondo a 
vedere i giovani talenti per proporli alle società. In un decennio lungo 
dal 1994 al 2006 ho gestito calciatori importanti, alcuni
 importantissimi, io dico per mia fortuna, se ho avuto dei meriti preferisco 
che me li riconoscano gli altri. Dal 2006 ho scelto il percorso da 
direttore sportivo e lo ho fatto lavorando in club a cui resto grato come 
Ascoli, Torino, Udinese, Siena e Bari. Esperienze a prescindere, di
 grandissima formazione, una palestra incredibile. E dopo vent’anni ho
rielaborato tutte queste esperienze immaginandone la sintesi migliore».


In cosa l’intermediario è sintesi degli altri ruoli da lei ricoperti?



«Mi sono reso conto del fatto che il sistema calcio è cambiato, come è 
cambiato il mondo, sono cambiate le relazioni: i presidenti preferiscono
 avere più di un interlocutore e il direttore è diventato spesso una figura
 più funzionale e operativa all’interno di un club, perché le trattative
 vengono condotte per la maggior parte dei casi, per conto dei proprietari
 delle società, da figure terze che riescono ad intercettare il punto di
mezzo tra gli interessi del club che acquista, quelli del club che vende e
 quelli del calciatore. Questo è l’intermediario o consulente se 
preferite, ed è il ruolo predominante all’interno del calcio di tutto il
 mondo. Lo dico per fotografare una realtà che cambia, ma consapevole del pieno rispetto che il ruolo del direttore sportivo merita, e questo vorrei fosse chiaro: c’è un portato di storia e di competenze che non va assolutamente disperso».

Il ruolo con cui lei ora sta operando, Antonelli, ha però  comportato la sospensione dall’albo dei direttori sportivi.



«Credo fortemente in questo ruolo che ho definito centrale, quella dell’intermediario, e ribadisco il suo effetto di
sintesi tra quella del procuratore e quella del Direttore Sportivo. Credo anche che questa 
figura rappresenti indipendenza da tutte le parti in causa in una 
trattativa e quindi offra garanzie a tutti gli interlocutori all’interno
di  un affare. E’ una nuova sfida personale e come faccio da 22 anni a 
questa parte, la affronto con l’entusiasmo e la passione del primo giorno.
 Ed è per questo che abbiamo ricominciato dalla Football Service,
la mia struttura storica, pensandola come una agenzia europea che si occupi di tutti gli aspetti del calcio moderno: rapporti con gli sponsor,  rapporti con i media e i social, sport production. Detto questo, fatemi ribadire l’assoluta funzionalità del ruolo che i direttori sportivi hanno conquistato ed esercitano. Se un domani dovesse ricapitare un progetto che mettesse al centro il calcio, dai giovani ai più grandi, in tutte le componenti che caratterizzano la vita di un club, non escluderei affatto di poterlo valutare e prendere in considerazione».

Di grande attualità anche il tema della reintroduzione dell’albo dei procuratori sportivi. Qual è il suo punto di vista su questo argomento molto dibattuto e di assoluto interesse, non solo per gli operatori di mercato?

Sono personalmente favorevole alla reintroduzione dell’albo con una serie di paletti diversi da quelli che hanno contraddistinto la categoria fino a qualche tempo fa. Ritengo sia assolutamente necessario regolamentare la figura del manager di calciatori, che peraltro negli ultimi 15 anni ha vissuto una serie di rivisitazioni. Innanzitutto va legittimato e istituzionalizzato il ruolo, diversamente vissuto come elemento scomodo, di contrasto dalle società e dai presidenti. E invece deve diventare un ruolo cruciale per i club. Questo lo dico perché non mi stancherò mai di ripetere che oggi la nuova figura è quella dell’intermediario, a metà strada tra il direttore sportivo e l’agente, capace anzi di far mettere sedute due società e gli agenti di un calciatore per lavorare su una operazione. L’albo va istituito nuovamente, i vari passaggi regolamentari saranno termini e temi di discussione nelle sedi opportune».
Un altro aspetto normativo di assoluta attualità è quello della clausola rescissoria…
«Strumento direi quasi imprescindibile se vediamo quello che già accade in Spagna, in Inghilterra, in Germania. Punto che definirei nodale nello sviluppo dei rapporti tra calciatori e club, anche per regolamentare i destini nella prospettiva del calciomercato, con reciproci vantaggi pattuiti per tempo, fissando i termini economici che possono portare ad una cessione con piena soddisfazione delle parti. Già è stata introdotta e viene utilizzata da noi, nel nostro sistema: ritengo che prenderà sempre più e giustamente piede».

La squadra che a partire dal mercato estivo fino a questo punto della 
stagione la ha entusiasmata di più

?

«Se devo dire che mi ha entusiasmato di più finora è la Lazio. La vai a
 vedere ed è piacevole, verifichi che ci sono 4-5 giocatori straordinari e 
attorno gli altri creano un contesto funzionale. La Lazio ha un valore 
patrimoniale in organico incredibile e quindi merita i complimenti».
Alexi Sanchez prima di finire allo United è stato conteso tra City e United. Come sette anni era tra City e 
Barcellona. All’epoca lei rappresentava l’Udinese nell’operazione che
 portò il cileno in Spagna. Quali sono le sue considerazioni?



«Lo vedevo ideale per il calcio inglese anche quando chiusi con il 
Barcellona per fare il bene della società che all’epoca rappresentavo. Lo 
convinsero due telefonate, di Messi e Guardiola. E le condizioni 
economiche erano identiche. Questo per dire che Alexis è istinto e va dove 
si sente. Sarà stato così anche stavolta. Se ripenso a Sanchez rivedo le grandi 
intuizioni che fanno bene al nostro sistema: Gino Pozzo lo comprò tra
 primo e secondo tempo di una partita del Colo Colo. Guardate dove è
 arrivato. Uno straordinario anarchico del gioco offensivo».

All’estero, negli altri grandi campionati d’Europa, sembrano camminare con una marcia in più. Perché?


«Perché sicuramente questo “passaggio” operativo nuovo lo hanno già 
intercettato e compiuto. Penso alla Premier, che oggi è un modello 
sportivo, commerciale, di managerialità e marketing un po’ per tutti.
 Ecco, lì si ragiona davvero “di sistema”. Il campo, la piattaforma 
televisiva, gli stadi, la gente, la comunicazione, c’è un universo
sinergico che mette al centro lo spettacolo come prodotto per i
tifosi e per le aziende. E ognuno può essere soggetto attivo. A me
piacerebbe davero che l’Italia potesse esprimere il suo di modello. E
fare scuola. Perché abbiano le energie e le professionalità per
creare un sistema nostro, efficace e magari mutuabile anche fuori».

 

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