Claudia Promutico

L’irrilevanza della c.d. usura sopravvenuta nella recente giurisprudenza di legittimità

Dell’Avv. Claudia Promutico
Dal punto di vista civilistico la norma che si occupa dell’usura è l’art. 1815 c.c. il quale stabilisce che salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Per la determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell’art. 1284 c.c. Qualora siano convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi.
Ebbene, in base a quanto affermato dall’art. 1815, secondo comma c.c., la reazione dell’ordinamento alla sproporzione originaria del rapporto si sostanzia nella previsione di una ipotesi di nullità testuale, non dell’intero contratto ma solo della clausola relativa agli interessi. Com’è noto, la regola generale che governa la disciplina della nullità parziale di cui all’art. 1419 c.c. è il c.d. effetto espansivo, ossia la nullità che colpisce una clausola essenziale nell’economia complessiva del contratto fa venire meno l’intero contratto.
È indubbio che la clausola concernente gli interessi sia fondamentale per il contratto di mutuo: il creditore, infatti, stipula il contratto di mutuo al solo fine di percepire gli interessi. Pertanto, la clausola relativa agli interessi rappresenta una clausola essenziale, in assenza della quale le parti non avrebbero stipulato il contratto. Tuttavia, pur essendo una clausola essenziale, il legislatore si premura di introdurre un’eccezione alla regola generale, ossia la previsione di una nullità parziale.
La ratio sottesa ad una tale previsione è evidente: se si applicasse il principio generale, la conseguenza sarebbe la restitutio in pristinum, con restituzione, da parte del debitore dell’intera somma ricevuta in prestito.
In virtù del principio del favor debitoris, cui è informato il nostro ordinamento giuridico, il legislatore prevede un’eccezione al principio generale prevedendo che il contratto resta in vigore, ma il creditore perde il diritto agli interessi. Emerge, dunque, una logica sanzionatoria in quanto l’ordinamento al fine di reagire allo squilibrio originario del contratto, sanziona il comportamento contrario alla buona fede del creditore, esonerando il debitore dal pagamento di qualunque interesse.
Sul piano penale l’usura è prevista dall’art.644 c.p. che è stata sottoposto, al pari dell’art. 1815 c.c. a riforma da parte del legislatore con la legge 7 marzo 1996, n.108. In seguito alla modifica si distinguono tre tipi di usura: l’usura pecuniaria, collegata alla dazione di una somma di denaro dietro corrispettivo di interessi o vantaggi; l’usura reale, intesa come vantaggio o interesse sproporzionato a fronte della dazione di un bene mobile; l’usura oggettiva, connessa esclusivamente al dato oggettivo del superamento del tasso soglia consentito. Con le modifiche effettuate dalla legge 108 del 1996 il legislatore ha eliminato dalla struttura del delitto di usura il requisito soggettivo dell’approfittamento dello stato di bisogno, riducendolo a mera circostanza aggravante. La previsione di un tasso-soglia mostra l’intenzione del legislatore di accogliere una concezione oggettiva di usura, come elemento di congiunzione tra usura penale e usura civile.
La doppia tutela apprestata dal legislatore, sia sul piano civile, sia sul piano penale evidenzia la profonda avversione del legislatore nei confronti del fenomeno usurario che, in sostanza, realizza una sproporzione oggettiva tra le prestazioni.
L’art. 1815 co. 2 c.c., dunque, si attaglia perfettamente al fenomeno dell’usura originaria, che si configura, in fase genetica, all’atto di stipula del contratto.
Oltre all’usura originaria occorre menzionare anche l’usura sopravvenuta. Ben può accadere, infatti, che la clausola che in origine prevedeva un interesse proporzionato, in linea con il tasso legale, finisca per diventare usurario a causa di circostanze esterne al contratto ed indipendenti dalla volontà delle parti, dando luogo ad uno squilibrio sopravvenuto dello scambio.
In seguito alla modifiche apportate dalla legge n.108 del 1996 si sono sollevati molteplici dubbi interpretativi relativi sia all’applicabilità della nuova normativa ai contratti stipulati prima ma ancora in corso al momento dell’entrata in vigore della legge sia alla possibilità di applicazione della norma ai contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore della nuova normativa antiusura, il cui tasso di interesse, seppure originariamente lecito, divenisse, in seguito ad una successiva diminuzione del tasso-soglia, eccedente tale misura.
In riferimento al secondo dei dubbi interpretativi posti dalla norma vi era incertezza relativamente alla circostanza che la qualifica degli interessi come usurari dovesse riguardare la situazione esistente al momento della conclusione del negozio, con conseguente irrilevanza di un’eventuale successiva diminuzione dei tassi-soglia, oppure se la nuova normativa imponesse un continuo raffronto degli interessi di volta in volta maturati in relazione alle singole operazioni creditizie con le rilevazioni periodiche dei tassi.
Secondo un primo orientamento della Corte di Cassazione ai fini della valutazione dell’usurarietà del tasso di interesse occorre fare riferimento al momento genetico della stipulazione del contratto, essendo irrilevante il tempo successivo della effettiva corresponsione degli interessi. A tale tesi se ne contrappone un’altra afferma che la valutazione di usurarietà va effettuata con riferimento alla datio degli interessi, ossia al momento funzionale esecutivo del contratto, attribuendo rilevanza alla c.d. usura sopravvenuta.
A fronte di tali incertezze il legislatore è intervenuto con una legge di interpretazione autentica nella quale all’art. 1 comma 1 del d.l. 394 del 2000 ha stabilito che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.
La legge de qua è stata sottoposta a dura critica tanto che è intervenuta la Corte Costituzionale la quale ha ribadito la costituzionalità della stessa legge in quanto conforme al principio di ragionevolezza che è parametro di valutazione della costituzionalità della legge.
Ebbene, posto che all’usura sopravvenuta non si applica l’art. 1815 c.c., non configurandosi un comportamento abusivo da parte del creditore, si è posto il problema di individuare quali strumenti l’ordinamento metta a disposizione del debitore per riportare la misura dell’interesse al di sotto della soglia dell’usura e ripristinare l’equilibrio del rapporto.
Sul tema, si sono fronteggiati due orientamenti principali: un primo indirizzo, contrario all’usura sopravvenuta, ha ritenuto, valorizzando la locuzione “indipendentemente dal loro pagamento” di cui al d.l. 394/2000, che il contratto di mutuo stipulato in data anteriore all’entrata in vigore della legge n. 108/1996 rimanesse pienamente valido, non potendo applicarsi retroattivamente la predetta normativa antiusura.
Una seconda impostazione, favorevole all’usura sopravvenuta, ha sottolineato, invece, la rilevanza penale della condotta di ricezione degli interessi successiva alla pattuizione, non più degradata a mero post factum non punibile. In base a tale tesi il rimedio per fronteggiare l’usura sopravvenuta è il riferimento alla clausola di buona fede in executivis di cui all’art. 1375 c.c.
Si è evidenziato che, qualora il creditore esercitasse il diritto all’interesse, il suo comportamento sarebbe contrario alla buona fede perché pretenderebbe l’esecuzione di una prestazione oggettivamente sproporzionata. L’ordinamento, infatti, non ammette la soddisfazione egoistica dei propri interessi, dovendo il creditore tenere in considerazione l’interesse del debitore, non solo nella fase formativa del contratto, ma anche durante tutta la sua esecuzione, in base al principio costituzionale di solidarietà sociale ex art. 2 Cost. di cui sono immediati corollari il dovere di buona fede e il divieto di abuso del diritto.
La buona fede, quindi, opera come parametro di inesigibilità della prestazione, determinando un sostanziale riequilibrio del rapporto, nel senso che si può pretendere il pagamento degli interessi solo entro la soglia dell’usura e il debitore richiesto del pagamento dell’interesse sopra la soglia si potrà opporre con l’exceptio doli generalis.
Al fine di dirimere il contrasto succitato sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza 19 ottobre 2017, n.24675 affermando il seguente principio di diritto: “Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.
In conclusione con la citata sentenza le Sezioni Unite escludono il rilievo dell’usura sopravvenuta valorizzando soltanto il momento della pattuizione e attribuendo rilievo al profilo della volontà e dunque della responsabilità dell’agente in base a quanto statuito dalla legge di interpretazione autentica degli artt. 644 c.p. e 1815 c.c.
Secondo la Consulta non può accogliersi la soluzione adottata da parte della dottrina in riferimento all’applicazione del criterio della buona fede, poiché non è riscontrabile una violazione del parametro della buona fede nell’esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di esercizio degli stessi. Ne consegue che “in presenza di particolari modalità o circostanze, anche la pretesa di interessi divenuti superiori al tasso soglia in epoca successiva alla loro pattuizione potrebbe essere scorretta, ma è da escludersi che deve considerarsi scorretta la pretesa in sé di quegli interessi, corrispondente a un diritto validamente riconosciuto dal contratto”.

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